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Coronavirus: perché puntare sulla diagnosi precoce

Secondo WAidid la diagnosi precoce è essenziale per fornire, prima che sia troppo tardi, eventuali terapie antivirali ai pazienti più a rischio

Coronavirus: perché puntare sulla diagnosi precoce

Sanihelp.it – L’Associazione Mondiale delle Malattie Infettive e i Disordini Immunologici (WAidid), presieduta dalla Professoressa Susanna Esposito, sottolinea l’importanza di cambiare i criteri dei tamponi, estendendoli a tutti i soggetti con sintomi simil-influenzali, dell’eseguire controlli routinari sul personale sanitario,  e di sottoporre a diagnosi tutti i contatti anche asintomatici delle persone trovate positive in modo da aumentare il monitoraggio nelle aree più colpite.

Solo in questo modo è possibile ottenere una diagnosi precoce di infezione in modo da fornire, prima che sia troppo tardi, eventuali terapie antivirali ai pazienti più a rischio (over 70, persone con pneumopatie o diabete o cardiopatie).

L’alta percentuale di operatori sanitari malati, inoltre, rende prioritario il loro screening routinario per evitare che diffondano la malattia a pazienti con altre patologie e ai loro familiari, anche a causa dell’assenza in molti casi di dispositivi di protezione individuale adeguati e di cultura sulle infezioni ospedaliere nel nostro Paese.

«La terapia farmacologica antivirale raccomandata – ha dichiarato la Professoressa Susanna Esposito, Presidente WAidid e Professore Ordinario di Pediatria all’Università di Parma – deve poter essere somministrata, se indicata, nella fase iniziale della malattia. Non appena, invece, subentrano gravi complicazioni respiratorie può essere troppo tardi. In terapia intensiva muore il 20% degli over 70 e il 30% degli over 80. Se non vengono effettuati tamponi a soggetti a rischio asintomatici, che hanno avuto contatto con casi positivi, non è possibile iniziare precocemente eventuali trattamenti. Così pure, se agli operatori sanitari asintomatici in ospedale non viene effettuato il tampone quando sono esposti a casi positivi, se il personale ospedaliero viene scambiato tra diversi reparti senza essere sottoposto ad alcun tipo di controllo e se il personale medico e infermieristico presente sul territorio non è neanche sottoposto al tampone quando presenta sintomi perché questi non sono considerati sufficientemente gravi non sarà minimamente possibile contenere il contagio. Così pure, se i laboratori identificati per effettuare i test diagnostici sui tamponi, che oltre tutto si basano su metodiche relativamente semplici, forniscono una risposta dopo 3-4 giorni perché non sono sufficientemente attrezzati e/o organizzati con un ritardo sia nell’inizio delle terapie antivirali nei pazienti ricoverati e in quelli a rischio a domicilio sia nell’isolamento dei contatti stretti e degli operatori sanitari positivi la letalità da COVID-19 in Italia, per lo meno in alcune Regioni, sarà la più alta del mondo. Tenere le persone a casa non è sufficiente, è necessaria una identificazione più precoce del contagio».

Rispettare una vera quarantena è complicato.

Non eseguire il tampone in chi ha sintomi lievi o moderati e negli asintomatici che hanno avuto contatti stretti con casi positivi può indurre a fare uscire di casa soggetti contagiosi guariti dai comuni sintomi influenzali ma che sono ancora portatori del virus, come confermano le recenti pubblicazioni sulla rivista Science in cui viene citato come virtuoso l’esempio della Corea del Sud e viene sottolineato come i cardini per contrastare l’emergenza siano essenzialmente lo screening allargato, che non è uno screening di massa ma indubbiamente è un allargamento nell’esecuzione dei tamponi rispetto a quanto è stato fatto finora in gran parte d’Italia, e l’utilizzo massivo delle mascherine.

La stessa raccomandazione arriva dal Centre for Health Protection di Hong-Kong dove in una città con più di 7 milioni di abitanti, una metratura quadrata molto piccola e frequenti scambi con la Cina continentale i casi di SARS-COVID-19 sono stati solo 150.

«Vietare di fare jogging e sport all’aperto non serve – continua la Professoressa Susanna Esposito – se fatto in solitudine e con la mascherina chirurgica non è rischioso per nessuno. Non è realistico credere che famiglie italiane con bambini piccoli con l’inizio della primavera stiano intere settimane chiuse nella loro abitazione. È, invece, fondamentale limitare il più possibile le uscite senza assembramenti ma fare in modo che tutti indossino sempre la mascherina chirurgica quando escono di casa per evitare la diffusione di COVID-19 da parte di quei portatori asintomatici che non sarebbero identificati neanche con una esecuzione più estesa di tamponi. Fermo restando la disponibilità e l’accessibilità ai dispositivi protettivi che ad oggi non è ancora garantita, uscire senza mascherina è pericoloso per sé e per gli altri. D’altra parte, nessuno sa se i portatori asintomatici sviluppano anticorpi protettivi. Quindi, è possibile che il numero dei suscettibili resti molto alto per lungo tempo».


Fonte: http://www.sanihelp.it/rss/rss_salute.xml

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