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    Come le tecnologie cambiano volto al trasporto aereo

    Carburanti alternativi, intelligenza artificiale, taxi volanti. Il settore del trasporto aereo è nel pieno di un processo di profonda trasformazione. Ne abbiamo parlato con Sergio Colella, presidente Europa di Sita, fornitore di soluzione It per il settore.

    Tra scali e compagnie aeree, quali sono oggi i principali motori del cambiamento?

    “Secondo il nostro report Sita Air Transport It Insight, l’86% delle compagnie aeree sta collaborando con partner specializzati per fare dei progressi nell’uso dell’intelligenza artificiale, nell’apprendimento automatico e nella computer vision e il 97% ha confermato importanti programmi e attività di ricerca e sviluppo in quest’area. Il secondo fattore che cambierà il modo di viaggiare in futuro riguarda le nuove tecnologie: sia quelle legate alla mobilità aerea urbana, come i taxi aerei elettrici, che nei prossimi anni potrebbero apparire nei cieli delle nostre città per garantire collegamenti più efficienti con gli aeroporti, sia soluzioni all’avanguardia come l’intelligenza artificiale generativa, sempre di più al centro dell’interesse di aerolinee e scali. Il terzo riguarda il cambio generazionale: ci saranno sempre più passeggeri giovani, come quelli della Generazione Z e Millennial, che richiederanno un’esperienza di viaggio più digitale e integrata, e, al contempo, i viaggiatori più senior avranno a disposizione più tempo e risorse per volare, per cui necessiteranno di soluzioni tecnologiche su misura e maggiore assistenza durante il viaggio”.

    Sergio Colella, presidente Europa di Sita  LEGGI TUTTO

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    Basta uno smartphone per registrare i segnali dei pipistrelli

    Nove specie di chirotteri europei possono essere monitorate utilizzando uno smartphone, con una quantità e qualità delle registrazioni comparabile a quella ottenuta tramite i bat detector. In particolare, i dispositivi iOS offrono una sensibilità superiore, rilevando segnali a distanze maggiori rispetto ai dispositivi creati ad hoc per registrate i segnali dei chirotteri, mentre i dispositivi Android hanno mostrato nel complesso una minor sensibilità, con variazioni significative nelle performance a seconda del modello.È il risultato di una ricerca condotta dai ricercatori dell’Università di Torino sul territorio e in altre aree del nord Italia, con una fase di campionamento in Spagna, dove è stata registrata la nottola gigante (Nyctalus lasiopterus), il più grande e tra i più misteriosi chirotteri europei. Sono state effettuate delle serate di registrazione utilizzando vari smartphone e tablet tra i più venduti nel mondo, affiancati da un bat detector. Sono quindi state confrontate la quantità e la qualità delle registrazioni ottenute. LEGGI TUTTO

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    Raccolta differenziata, la lampadina non si getta nel vetro: gli errori più comuni che facciamo

    È una risorsa preziosa, ma oltre il 9% di chi cerca di smaltire correttamente il vetro afferma di non avere le idee chiare su come farlo. Ammettiamolo: anche i più accorti  hanno ancora dubbi sul fatto che nella campana del vetro vanno messi solo bottiglie e barattoli da conserva privati del tappo, mentre bicchieri, piatti, pirofile o il vetro della finestra rotto vanno portati nei centri di raccolta. I risultati di uno studio commissionato da CoReVe, il Consorzio per Recupero del Vetro, e condotto da AstraRicerche su un campione di circa 1500 persone, nonostante il numero esiguo di intervistati conferma queste incertezze diffuse e la confusione che molti di noi fanno nel riciclare un materiale prezioso per l’economia come il vetro.Il sondaggio sottolinea come dubbi e capacità nel riciclare correttamente dipendono dall’età e dalle città in cui si abita. I giovani tra i 18 e i 24 anni ammettono nel 18% dei casi di non saper riciclare il vetro (il doppio, come visto, rispetto alle altre fasce di età) e come purtroppo indicano molte analisi dei dati e i sondaggi sul riciclo in Italia, il Meridione si dà valutazioni negative sulle sue capacità di smaltire correttamente il vetro o i rifiuti in generale. Questi due dati potrebbero essere spiegati da un lato con la maggiore consapevolezza dei giovani della necessità di riciclare in modo corretto e dall’altro con la difficoltà di alcune amministrazioni di comunicare in modo chiaro le modalità di conferimento.C’è poi un altro aspetto da tenere presente: purtroppo, nonostante l’Italia abbia i tassi più alti in Europa per il riciclo (il tasso di riciclo dei rifiuti, speciali e urbani, ha raggiunto il 72% a fronte di una media europea del 58% secondo i dati dell’Early Warning Report 2023) e per quanto riguarda il vetro con il 76,6% abbia già raggiunto con 10 anni di anticipo il target di tasso riciclo fissato dall’Europa per il 2030 che è del 75%, ogni comune applica regole diverse, cassonetti e campane di tipo diverso, cosa che di sicuro non aiuta i cittadini. Così, mentre alcuni comuni virtuosi già riciclano il vetro a seconda del colore, altri faticano a far passare l’idea che il tappo dei barattoli va tolto prima di inserirli nella campana per il vetro.

    Gli errori da non fare

    Il sondaggio diffuso da CoReVe riporta che tra gli errori più comuni che gli Italiani commettono nel riciclare il vetro c’è l’inserimento nella raccolta dei bicchieri (71%), dei vetri delle finestre (42,9%), del cristallo (22,9%) e 2 Italiani su 10 conferiscono insieme al vetro anche lenti per gli occhiali e il 14% le lampadine.

    Nelle regioni del nordest sono i bicchieri a finire più spesso nella raccolta del vetro (70%), mentre le lampadine e gli oggetti di cristallo finiscono nelle campane più frequentemente nelle regioni del sud. Vetro borosilicato (noto anche come Pyrex) e porcellana traggono in inganno più frequentemente gli abitanti delle regioni del nord ovest. Gli errori fatti dai giovani sono il conferimento sbagliato con il vetro del cristallo e delle lenti per gli occhiali (citati nel 32% dei casi) e oggetti di ceramica (14%) mentre il borosilicato, che trae in inganno l’11% dei 55-70 enni, nella raccolta dei giovani è presente solo nel 6% dei casi.

    Alcuni sono consapevoli di commettere degli errori, ma non vanno nei centri di raccolta dei materiali speciali e così quasi 2 italiani su 10, gettano nel vetro il tubo della tv e il 16% i tubi al neo, il 5% continua a conferire gli oggetti di cristallo,  quasi il 9% le lampadine, quasi il 14% gli oggetti in ceramica, l’8,4% il borosilicato, il 6,2% le lenti per gli occhiali, il 3,7% i vetri delle finestre.”Questi dati sono particolarmente interessanti – dice CoReVE – perché sottolineano da un lato la scarsa informazione, dall’altro lo scarso interesse rispetto a un comportamento molto dannoso non solo per l’ambiente. Una raccolta del vetro di scarsa qualità (cioè che non contiene solo bottiglie e vasetti) infatti riduce gli introiti per i comuni, aumenta gli scarti del trattamento e rende di qualità inferiore la materia prima seconda che verrà impiegata in vetreria per produrre nuovo vetro di qualità inferiore facendo così aumentare i costi dell’economia circolare del vetro e la sua efficienza”.

    La giornata mondiale

    Perché riciclare conviene a tutti

    di Fiammetta Cupellaro

    18 Marzo 2024

    “Si tratta di un dato emblematico di quanto lavoro si debba ancora fare per aumentare conoscenza e consapevolezza in fatto di riciclo del vetro che è uno dei materiali più nobili di cui disponiamo, riciclabile all’infinito” – dichiara a questo proposito Gianni Scotti, presidente di Coreve – Solo aumentando la qualità della raccolta possiamo infatti contribuire a ridurre il peso dei rifiuti sull’ambiente, migliorare l’efficienza dell’economia circolare del vetro e aumentare i ricavi dei nostri Comuni. Le frazioni estranee, come i cosiddetti falsi amici o come il sacchetto che spesso finiscono nella raccolta del vetro, quando vengono eliminati dai macchinari nel processo di trattamento implicano una perdita di vetro per vicinanza o per trascinamento. Tale vetro che sarebbe potuto diventare materia prima seconda finirà negli scarti e quindi nelle discariche interrompendo per sempre il ciclo virtuoso del vetro, con un forte impatto negativo sia sull’ambiente che sull’economia” – conclude Scotti. LEGGI TUTTO

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    Perché riciclare conviene a tutti

    Ogni anno consumiamo miliardi di tonnellate di risorse naturali sottovalutando un punto fondamentale: prima o poi si esauriranno. Per questo, recuperare materiali non serve solo ad aiutare l’ambiente, ma ha anche benefici economici. Per tutti. Dalla plastica ai rifiuti elettronici, dai tessuti alla carta, la strada del riciclo è ormai spianata. Dai grandi brand di moda e della tecnologia fino alle piccole realtà artigianali e le famiglie. Convinti che l’uso consapevole delle risorse migliora la qualità dell’acqua e dell’aria che respiriamo, riduce l’energia che usiamo e combatte il cambiamento climatico. Ed ora, il 18 marzo il mondo è pronto a celebrare un nuovo Global Recycling Day, la manifestazione globale dedicata al riciclo con una novità. Proprio alla vigilia, gli Stati membri dell’Unione europea hanno trovato l’accordo sulle nuove norme sul packaging e il riuso. Un tema tra i più importanti degli obiettivi ambientali europei al 2030.Solo nel 2021 ogni europeo ha generato circa infatti 190 chili di imballaggi, una cifra destinata a crescere di quasi il 20% nel 2030, se non si cambia rotta. Per questo il regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio che è stato approvato in Europa è una buona notizia: contribuirà a ridurre alcune barriere tra i Paesi introducendo norme comuni sull’etichettatura e sulla gestione dei rifiuti. L’obiettivo è chiaro: meno rifiuti produciamo più diminuisce l’impatto sul pianeta.

    Da quando il Global Recycling Day è diventato un giorno riconosciuto dall’ONU nel 2018, si sono moltiplicate le iniziative dedicate al riciclaggio. Così anche quest’anno in Italia, da nord a sud sono molte le proposte che arrivano dalle associazioni che hanno organizzato raccolte di rifiuti all’aperto, incontri nelle scuole sull’economia circolare, corsi per insegnare a riutilizzare vecchi oggetti e reinventare vecchi capi di abbigliamento. Sì, perché la creatività sta occupando un grande posto nel mondo del recycling facendo salire l’interesse soprattutto tra i più giovani che usano piattaforme per riutilizzare, riciclare dare una seconda vita alle cose. Perfino grandi case di moda stanno ormai progettando collezioni create con materiali provenienti dalla plastica raccolta in mare, dagli scarti tessili e di pelletteria, perfino dalla frutta. E sembra funzionare. 

    Italy for climate

    Nelle Marche un laboratorio per un’industria meno impattante

    di Pasquale Raicaldo

    15 Marzo 2024

    L’Italia leader in Europa per il riciclo

    “L’Italia è tra i Paesi leader in Europa per l’economia circolare avendo raggiunto nel 2022 una percentuale di 72% di rifiuti riciclati. Fino a quell’anno eravamo primi, l’anno scorso siamo arrivati secondi dietro i Paesi Bassi – spiega Francesco Ferrante vice presidente di Kyoto Club che tra i soci vede anche Comieco, il Consorzio Nazionale di Recupero e Riciclo degli Imballaggi e il Corepla che si occupa della raccolta e riciclo della plastica – un dato che a molti può sembrare inaspettato. Non solo per l’efficienza delle imprese responsabili della raccolta e del riciclo e per la disciplina con cui i cittadini separano il vetro dalla carta e dalla plastica, e da tutti gli altri materiali per cui è disponibili un servizio di conferimento. Ma rispecchia anche un nuovo modo di fare impresa: l’industria italiana negli anni si è adattata ad un modello economico che non può più prescindere dalla sostenibilità. Ad esempio, funziona la macchina del recupero degli scarti dell’industria e delle attività commerciali. Più in generale le materie prime dell’industria manifatturiera italiana sono prevlentemente ‘materie prime seconde’ recuperate dalla differenziazione di rottami, macerie, rifiuti recuperati post-produzione o post-consumo”.L’intera filiera del riciclo vale complessivamente oltre 70 miliardi di euro di fatturato, mentre in termini ambientali il recupero di materia nei cicli produttivi permette un risparmio annuo pari a 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 63 milioni di tonnellate di CO2.

    Venice Sustainable Fashion Forum

    Tutti i numeri del sistema moda: qualcosa si muove, ma bisogna accelerare

    di Vittorio Emanuele Orlando

    26 Ottobre 2023

    L’Italia è dunque un paese virtuoso, ma basta a tenere in piedi tutto il sistema di smaltimento? “Non proprio – continua Ferrante – perché se leggiamo attentamente i dati, vediamo che l’Italia è un Paese-Arlecchino nel senso che mostra due volti largamente discordanti: da un lato ci sono regioni, città e anche piccoli comuni virtuosi, come ad esempio Milano considerata la città europea con il più alto tasso di raccolta differenziata, dall’altro c’è chi arranca. Ma non si tratta di una differenza tra Nord e Sud perché ci sono paesi in Sicilia con tassi di riciclo paragonabili a quelli del Veneto. Il problema è istituzionale: ci sono pochi impianti e troppo materiale da smaltire”.

    E secondo l’Istituto di Ricerche Ambiente Italia, tra le migliori prestazioni di sostenibilità ambientale ci sono il Trentino-Alto Adige e le Marche a distanza dalla Lombardia, Veneto, Toscana, Friuli Venezia-Giulia, Lazio e Liguria. In fondo alla classifica c’è la Puglia preceduta da Sicilia, Sardegna, Basilicata, Campania e Calabria.   

    Un impianto per il riciclo    LEGGI TUTTO

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    Il Trentino-Alto Adige si affida all’ediliza green: riuso e risparmio per adattarci al clima che cambia

    In principio fu un’intuizione. Perché CasaClima è stata una realtà visionaria. Tra le primissime in Italia, tra le prime in Europa, a puntare con forza sulla sostenibilità edilizia e sulla necessità di certificazioni energetiche per un settore che può essere protagonista della transizione. Nei primi anni Duemila, il settore immobiliare percorreva altre strade: di climate change, di impronta dell’uomo sul Pianeta, si parlava ancora troppo poco. Nel 2002 quella che è oggi l’Agenzia per l’Energia Alto Adige – CasaClima, con sede operativa a Bolzano, rilasciò il suo primo certificato energetico a una famiglia di Bolzano. La strada si è rivelata quella giusta: oggi l’Agenzia è un ente strumentale della Provincia Autonoma di Bolzano e, come struttura pubblica, si occupa della certificazione energetica degli edifici (in Alto Adige la certificazione CasaClima è obbligatoria per le nuove costruzioni dal 2004), della formazione e della comunicazione. Più di 24mila i certificati già rilasciati, su tutto il territorio nazionale: la media è di 1400 all’anno e qui – mettono subito le cose in chiare – non si attesta solo la prestazione energetica, ma un mondo fatto di qualità, comfort abitativo, salute e sostenibilità. LEGGI TUTTO

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    La scarpa ecosostenibile è riciclabile al 100%

    C’è una startup leccese che ha appena lanciato sul mercato tre modelli di scarpe da ginnastica totalmente disassemblabili e riciclabili: usati solo gomma e poliestere, i materiali possono essere riutilizzati per produrre nuovi accessori. Si chiama Servati nasce nel distretto di Casarano (Lecce) ed è stata fondata da due amici pugliesi: Matteo Di Paola, classe 1997, laureato in economia, e Marco Primiceri, classe 1998, esperto di design e comunicazione visiva. I due imprenditori hanno messo a punto la loro idea di business in pieno lockdown. E dall’11 marzo di quest’anno sono sbarcati sul mercato con le prime cento paia di scarpe, acquistabili sul sito web dell’azienda.

    Le suole di Servati sono stampate in gomma con la stampante 3D, mentre le tomaie vengono prodotte all’interno del distretto industriale di Casarano in collaborazione con altre aziende calzaturiere, ma la ricerca dei fornitori si sta estendendo su tutto il territorio nazionale.

    Matteo Di Paola e Marco Primiceri, co-fondatori di Servati  LEGGI TUTTO

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    “Così produciamo il riso biologico e facciamo anche a meno della plastica”

    “È una falsità affermare che il riso biologico è più buono di quello normale, sotto il punto di vista sensoriale e culinario, poiché la differenza sostanziale è nella quantità di residui chimici dovuti alla lavorazione. Nel bio sono assenti, in quelli convenzionali la legge prevede soglie da rispettare. Lo stesso vale per i relativi terreni”, confida a Green&Blue uno dei produttori leader del settore, Giovanni Vignola di Riso Vignola. “Il mio avo Giovanni Vignola ha fondato l’azienda nel 1880 a Balzola (AL); mio figlio sarà la sesta generazione. Coltiviamo tutte le varietà di riso italiane Arborio, Carnaroli, Originario e tanti altri, che lavoriamo per i nostri marchi e per conto terzi. Oggi la priorità è nella cura della coltivazione e l’innovazione industriale che assicura la qualità biologica”, sottolinea l’imprenditore.Al netto dei cosiddetti test alla cieca, che in Vignola si fanno costantemente per valutare anche la concorrenza, quel che dovrebbe far riflettere è quanto sia poco noto alla maggioranza dei consumatori il mercato del riso. Così come le implicazioni sulla sostenibilità ambientale e la salubrità del prodotto. “Il 70% della produzione italiana, biologico e convenzionale, viene esportato all’estero. Il riso bio in Italia ha un volume di affari di circa il 2%, contro 7- 8% della Francia e addirittura il 9-10% della Germania. In pratica da noi manca ancora la sensibilità sul tema biologico e certamente non hanno aiutato gli scandali del periodo pre-Covid”, sottolinea Vignola. Il riferimento è al periodo 2018 quando una maxi operazione per la tutela agroalimentare, attuata dai nuclei speciali dei Carabinieri, ha fatto emergere una frode nazionale senza precedenti. Basta un dato: sembrava che vi fossero 30mila ettari di risaie biologiche; oggi sono poco più di 6mila, di cui mille di Vignola.

    Risaie mature (Vignola)  LEGGI TUTTO

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    Il mondo sostenibile di Cristina Cotorobai: “Dopo il fast fashion sono tornata alla natura”

    Cristina Cotorobai, 32 anni, è una scrittrice ed ex modella che ha fatto della sostenibilità il filo conduttore delle sue azioni e dei suoi pensieri quotidiani. Nel suo nuovo libro SuperBlu. Come salvare il mondo, tutti i giorni, è sua figlia Blu la musa ispiratrice: appena nata le ha ricordato quanto fosse importante occuparsi del futuro scegliendo bene oggi. “Vivo in provincia di Milano e sono nata in Moldavia, dove ho trascorso l’adolescenza a stretto contatto con la natura. Nonostante la crisi finanziaria in cui versava il paese e le nostre difficoltà familiari, ho ricordi vividamente felici di una quotidianità lenta e rassicurante tra boschi, frutteti, campi e orti da cui rubare all’occorrenza un pomodoro per fare merenda. Per quanto mia madre abbia potuto contare sulla Tata Natura, sapeva che un futuro più stabile sarebbe dipeso soprattutto da condizioni economiche più dignitose; l’affidamento su mio padre, alcolizzato e violento, sarebbe stato ingenuo, quindi migrare verso Italia è stata una rotta inevitabile. Qui ho studiato e mi sono integrata con relativa facilità”.  

    Ha lavorato come modella per anni. Quanto ha inciso il settore della moda nelle sue scelte green?”Sì, è stato un lavoro per me controverso: ne sono senz’altro grata per l’indipendenza economica ottenuta da giovanissima, meno per i complessi sulla mia fisicità mai provati prima. Nonostante ciò, ho avuto un ruolo privilegiato nell’industria della  moda, ma è stato inevitabile cogliere le dinamiche di sfruttamento su cui prolifera. Tra prove look e sessioni di shooting ho appreso come i vestiti sono prodotti e da chi; mani lontane, sfruttate, silenziate. Oggi vesto quasi esclusivamente di seconda mano e la sensibilizzazione che faccio sui social per una moda più responsabile e meno impattante, è senz’altro motivata dalla mia esperienza nell’industria della moda”.E oggi in quali gesti si traducono le sue scelte?”La tutela dell’ambiente e di chi lo abita è uno dei miei principali valori, alla pari del rispetto per il prossimo o altri valori comunemente percepiti come indispensabili nella nostra società. Lo traduco nel quotidiano con una dieta vegetariana, di stagione e il più possibile con prodotti sfusi, vestendo abbigliamento usato, riducendo al minimo indispensabile l’uso della macchina, ma anche affidando i miei risparmi ad una banca che non finanzia le fonti fossili e optando per un fornitore di energia rinnovabile per la mia abitazione”.Come è nata la sua passione per la scrittura? “Trovo sia uno strumento indispensabile per approfondire ciò che sui social rimane superficiale ed effimero (un po’ come le 24 ore delle Storie su Instagram). La mia primissima esperienza parte da Libro Verde. Una guida per vivere sostenibile, dove ho trovato lo spazio necessario per accompagnare chi vuole intraprendere uno stile di  vita meno impattante, senza sottostare a regole di contenuti social e limitazioni di algoritmi spietati. La seconda esperienza, la più gratificante, è SuperBlu. Come salvare il mondo, tutti i giorni; una storia illustrata per i più piccoli, quelli che con la crisi climatica avranno più sfide di qualsiasi altra generazione”. Parliamo di Blu, il protagonista del libro, un vero supereroe che ha a cuore il nostro pianeta. Come nasce la sua idea?”Blu è la mia supereroina: mi ha resa madre, mi ha insegnato a gustarmi il presente e a percepire il futuro guardando oltre il mio naso. Non esagero nell’affermare che è stata lei ad attivarmi il senso d’urgenza e di responsabilità che ho, che abbiamo, come individui nei confronti dell’ambiente di cui beneficiamo. SuperBlu è un omaggio che le ho dedicato, ma anche uno strumento che possa far familiarizzare le generazioni più giovani con temi sempre più attuali e imprescindibili: l’inquinamento ambientale e lotta collettiva per contrastarlo”.Quali sono le peculiarità del personaggio Blu?”In realtà è proprio l’assenza di superpoteri, quelli che possono far sognare, ma anche indurre senso di inadeguatezza a chi fatica ad identificarsi con i super eroi e le super eroine. Credo fermamente che il mondo possa essere salvato unicamente dalla collettività, impossibile che lo facciano una manciata di eccezionali ed extra ordinari supereroi”.Ha scelto il termine “riciclattoli”. Ci spiega cosa sono e quanto potrebbero aiutare la sostenibilità?”I riciclattoli sono giochi creati grazie a materiali di riciclo e all’ingegno tipico dei bambini e bambine. Non è il riciclattolo in sé a poter aiutare concretamente il pianeta, ma la forma mentis necessaria per crearlo è tutto carburante (verde) per un’esistenza in contrasto con il consumismo e lo spreco di risorse. Una condizione indispensabile per invertire lo stile di vita consumista occidentale”. Crede che i più piccoli crescano con questa sensibilità verso l’ambiente, oppure che in realtà prevalga lo spreco e la sovrabbondanza di oggetti?”Tutto dipende dall’ambiente familiare e sociale che plasmano (e talvolta sfruttano) l’innegabile sensibilità dei piccoli. SuperBlu, infatti, ha due livelli di lettura: il primo e il immediato coglie il pubblico più piccolo, ma quello più velato intercetta gli adulti,  anche con messaggi taglienti, diretti. Non intendo scaricare l’onere di ‘salvare il  mondo’ sui più piccoli, i meno responsabili della crisi climatica. Siamo noi adulti a dovercene prendere carico. Siamo noi a dover suggerire la possibilità di divertirsi con  un creativo riciclattolo invece di offrire l’ennesimo, nuovo giocattolo. SuperBlu, in  fondo, è uno strumento per grandi e piccini”.È molto attiva anche sui social network, dove è nota come @cotoncri. Un modo efficace per sensibilizzare le persone ad avere uno stile di vita rispettoso dell’ambiente?”Nonostante i limiti sempre più evidenti e problematici dei social, credo che, se usati con cognizione di causa, possano davvero apportare valore e ispirazione. La mia comunità lo dimostra con disarmante semplicità. Faccio qualche esempio: ‘Ciao Cri, ti volevo inviare questa foto della spesa fatta al mercato contadino invece che al supermercato, grazie per la dritta!’, ‘Sono finalmente riuscito a tagliare la carne e i derivati dalla mia dieta, non potrei esserne più fiero’, ‘Quest’anno per Natale solo regali al negozio dell’usato, figli e parenti entusiasti! Ovviamente il tuo reel mi ha ispirata moltissimo’”.Quali sono i suoi progetti per il futuro?”Da poco ho acquistato assieme al mio compagno una casa con un grande giardino, vogliamo ristrutturarla secondo i principi della bioedilizia e iniziare a coltivare il nostro cibo. Coltivare consapevolmente, in contrasto con la pratica convenzionale che distrugge biodiversità e prosciuga risorse, è una forma di attivismo più silenzioso e radicato che vorrei sperimentare. Magari lontano dai social e più vicina alla natura”. LEGGI TUTTO