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    In Antartide scoperta una catena di vulcani sottomarini

    Una catena di vulcani sottomarini è stata scoperta nei mari remoti della Terra Vittoria Settentrionale in Antartide, grazie alle indagini geologiche e geofisiche condotte a bordo della nave rompighiaccio italiana “Laura Bassi” dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS nell’ambito del progetto internazionale BOOST finanziato dal Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA) e coordinato dall’Università di Genova.La catena di vulcani è ubicata a circa 70° di latitudine sud e circa 60 km al largo della remota Costa di Pennell, in una zona dove le correnti circumantartiche dell’Oceano Meridionale si incontrano con le acque del Mare di Ross. Presenta una lunghezza di circa 50 km e una larghezza massima di 15 km e le sue cime, pur elevandosi di oltre 1500 m rispetto al fondo oceanico circostante restano nascoste sotto il mare. Il punto più elevato del complesso vulcanico è a circa 600 m di profondità.I primi indizi di questa scoperta erano emersi durante la 38esima spedizione italiana effettuata nel febbraio del 2023 e sono stati poi confermati nel corso della 39esima campagna a cui ha preso parte la nave Laura Bassi, conclusasi a inizio marzo 2024, finanziata dal Ministero dell’Università e Ricerca (MUR) nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA).

    Il caso

    La quinta base cinese in Antartide è un laboratorio strategico

    di Marco Tedesco

    21 Febbraio 2024

    Il progetto BOOST (Bridging Onshore-Offshore STructures at the Pacific Coast of North Victoria Land, Antarctica: an integrated approach) che vede come capofila l’Università di Genova, coinvolge ricercatori dell’OGS di Trieste, dell’Institute for Geosciences and Natural Resources (BGR) di Hannover e dell’Università degli Studi Roma Tre e dell’Università degli Studi di Trieste. Il team scientifico ha realizzato l’acquisizione di dati geofisici e geologici, tra cui: rilievi morfo-batimetrici del fondo mare ad alta risoluzione, linee sismiche e magnetiche, dati aeromagnetici e il prelievo di carote di sedimenti marini. 

    “L’area studiata dal progetto rappresenta una zona chiave per comprendere l’interazione tra i processi geologici legati ai movimenti delle placche litosferiche e l’evoluzione delle calotte glaciali Antartiche” sottolinea Laura Crispini, docente dell’Università di Genova e responsabile scientifica del progetto. “In passato, la zona è stata quasi per nulla investigata, soprattutto a causa della sua remota posizione geografica, spesso coperta da ghiaccio marino e caratterizzata da condizioni meteomarine estreme. Grazie anche alla combinazione di nuove opportunità logistiche, associate alla presenza di un esperto equipaggio tecnico e scientifico a bordo della N/R Laura Bassi, e le buone condizioni meteomarine, siamo riusciti a registrare un nuovo traguardo esplorativo per future ricerche”.L’obiettivo è ottenere risultati utili alla comprensione dei cambiamenti globali che caratterizzano l’evoluzione del sistema Terra, come l’apertura dei bacini oceanici che hanno favorito l’isolamento climatico dell’Antartide con il conseguente raffreddamento e sviluppo della calotta di ghiaccio a partire da circa 34 milioni di anni fa.

    Lo studio

    Il collasso dell’Antartide occidentale svelato da un polpo

    di Pasquale Raicaldo

    19 Gennaio 2024

    “Le nostre prime analisi rivelano l’esistenza di un complesso vulcanico principale, che occupa una superficie di oltre 500 km2, costituito da un insieme di coni allineati lungo una direttrice nord-sud, e una seconda dorsale, sempre di probabile origine vulcanica ma di dimensioni più ridotte, nella parte meridionale dell’area studio. Gli edifici vulcanici si presentano sia isolati che a formare rilievi allungati e in alcuni casi sono chiaramente visibili i crateri sommitali” specifica Dario Civile, ricercatore e responsabile dell’Unità di Ricerca dell’OGS. “Il vulcanismo sembrerebbe essere geologicamente recente ma la sua origine ed età rimangono ancora da determinare con esattezza. La scoperta di una catena vulcanica giovane e caratterizzata da risalita di lava e fluidi ha implicazioni sia dal punto di vista geologico e geodinamico, che dal punto di vista fisico/chimico, nonché della composizione delle acque e delle interazioni con la biosfera”.

    Le Campagne di ricerca in Antartide sono finanziate dal Ministero dell’Università e Ricerca (MUR) nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA) gestito dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) per il coordinamento scientifico, dall’ENEA per la pianificazione e l’organizzazione logistica delle attività presso le basi antartiche e dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS per la gestione tecnica e scientifica della rompighiaccio Laura Bassi. LEGGI TUTTO

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    Pulizie di casa, dalla lavatrice alla scopa elettrica: ci costano oltre 230 euro all’anno

    La lavatrice sotto osservazione. In termini di consumo elettrico è lei a pesare di più in bolletta tra tutti gli elettrodomestici che utilizziamo per le pulizie di casa. A stabilirlo è la classifica stilata da Facile.it che ha analizzato i consumi scoprendo che solo per lavatrice, asciugatrice, ferro da stiro, aspirapolvere e scopa a vapore, arriviamo a spendere oltre 230 euro all’anno.

    L’indagine, considerando che a breve cambieranno le tariffe dell’energia elettrica nel mercato tutelato e in attesa di sapere come varieranno le bollette, tiene conto del fatto che è utile conoscere i consumi elettrici legati all’uso degli elettrodomestici che consumano di più anche per risparmiare.

    Lavatrice

    Per l’analisi il comparatore ha preso in considerazione la tariffa dell’energia elettrica del mercato tutelato (aggiornata al primo trimestre 2024) pari a 0,25 euro al kWh*. Quanto ci costa in elettricità una lavatrice? Considerando un nuovo modello da 9kg in classe energetica E (nuova etichetta energetica), ogni lavaggio ci costa circa 22 centesimi di euro in energia; può sembrare poco, ma se facciamo una lavatrice ogni due giorni spenderemo circa 40 euro l’anno, ma se le lavatrici sono una al giorno, o più, allora dobbiamo mettere in conto di superare gli 80 euro.

    Due consigli fondamentali per risparmiare: il primo è di fare lavatrici solo a pieno carico, così da ottimizzare la spesa e ridurre il numero di lavaggi, il secondo è di evitare lavaggi a temperatura troppo elevata se non strettamente necessario. Infine, se avete una tariffa energetica bioraria, ricordatevi di attivare l’elettrodomestico solo durante le ore serali o nel weekend, altrimenti pagherete una tariffa più alta. 

    Asciugatrice

    Il secondo elettrodomestico analizzato non poteva che essere l’asciugatrice. Guardando l’etichetta energetica si scopre che un modello in classe A++ da 9 Kg consuma circa 1,6 kWh per ogni ciclo di asciugatura, valore che in bolletta si traduce in una spesa di circa 40 centesimi di euro. Questo significa che per far andare l’asciugatrice una volta ogni due giorni spenderemo quasi 75 euro all’anno di energia elettrica, ma che diventano oltre 150 se la facciamo una volta al giorno. 

    Il consumo è elevato, quindi è bene adottare alcune buone pratiche; la prima è quella di centrifugare bene i capi in lavatrice prima di passarli all’asciugatrice, questo ci consentirà di ridurre i tempi di asciugatura e, di conseguenza, i costi. La seconda è di usarla a pieno carico, ma senza esagerare; troppi panni potrebbero ridurne l’efficienza e far salire la spesa.

    Ferro da stiro

    Ultimo passaggio per i nostri panni, prima di riporli nell’armadio, è la stiratura. Ma quanto ci costa in bolletta il ferro da stiro? L’elettrodomestico, va detto, è molto energivoro e, normalmente i consumi variano tra i 1,8 e i 2,6 kWh. Esistono molti tipi di ferro (compatto, con caldaia, con generatore di vapore, ecc), pertanto il primo suggerimento è di scegliere quello più adatto alle esigenze della nostra famiglia. Un ferro da stiro con consumo pari a 2,2 kWh ci costa in bolletta circa 60 centesimi di euro all’ora. Ecco quindi che, se dedichiamo 2 ore a settimana a questa attività, la spesa annuale sarà di circa 58 euro, ma in caso di famiglia numerosa e più ore trascorse a stirare, il conto può salire velocemente. 

    Per risparmiare, il primo suggerimento è di utilizzare il ferro quando si hanno più indumenti da stirare; riscaldare l’acqua costa, meglio consumarla tutta. E ancora, è sconsigliabile lasciare il ferro attaccato più del necessario, sarebbe solo uno spreco di energia. Infine, attenzione alla manutenzione e, in particolare, alla formazione del calcare, che non solo potrebbe far aumentare i consumi, ma anche ridurre la qualità del risultato.

    Aspirapolvere

    L’aspirapolvere è un indispensabile alleato quotidiano per le pulizie di casa, ma quanto ci costa in elettricità? I modelli sul mercato sono diversi, così anche i consumi; un aspirapolvere a filo può consumare 1 kWh, questo significa che per ogni ora di utilizzo spendiamo circa 25 centesimi di euro. Un paio d’ore a settimana, per tutto l’anno, ci costerebbero quindi circa 26 euro in bolletta. 

    Per risparmiare, il primo consiglio è di ridurre il tempo di utilizzo eliminando i momenti in cui lo lasciamo accesso senza usarlo, ma attenzione anche al continuo alternarsi di spegnimento e riaccensione; insomma, meglio spostare i mobili prima di iniziare a passare l’elettrodomestico. La funzione Turbo va usata solo se e quando serve (ad esempio per i tappeti, ma non per il pavimento o il parquet) e, naturalmente, occhio al filtro; se pulito consente un gran risparmio.

    Scopa a vapore

    Dopo aver aspirato il pavimento, cosa c’è di meglio di una scopa a vapore per rimuovere lo sporco e igienizzarlo a dovere? Anche per questo elettrodomestico esistono diverse versioni – con caldaia, con filo, senza filo ecc. – ma se prendiamo in considerazione un modello da 1.500 watt dobbiamo sapere che, per ogni ora di utilizzo, ci costerà circa 40 centesimi di euro. Per un anno di lavaggi con scopa a vapore, un paio d’ore a settimana, spendiamo circa 40 euro in energia elettrica.

    Funzionando ad acqua, il rischio principale per questo elettrodomestico è che la formazione di calcare possa ridurne l’efficienza e, di conseguenza, far salire i consumi; il consiglio principale è di fare manutenzione regolare all’elettrodomestico e di utilizzare l’acqua più adatta secondo quanto riportato nel libretto di istruzioni. LEGGI TUTTO

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    L’uovo di Pasqua senza cacao e la blockchain per tracciarlo: le soluzioni sostenibili di due startup italiane

    Tra cambiamenti climatici, crisi geopolitiche e logistiche sempre più complesse, la filiera del cacao affronta una crisi senza precedenti, aggravata da un allarmante aumento dello sfruttamento minorile. L’instabilità climatica in Africa occidentale con un innalzamento delle temperature e una riduzione delle precipitazioni, sta destabilizzando il settore del cacao, in particolare in Ghana e Costa d’Avorio, che insieme costituiscono il 60% della produzione mondiale. Queste variazioni climatiche, unite ai picchi di forti alluvioni stagionali, favoriscono una violenta diffusione di malattie e parassiti che devastano le coltivazioni. Inoltre, l’uso intensivo di pesticidi e fertilizzanti compromette la salute dei lavoratori e dell’ambiente, mentre la deforestazione per la coltivazione del cacao intensifica l’inquinamento e il consumo di CO2. Anche le sfide logistiche si intensificano con l’instabilità geopolitica e i forti rincari nei costi di trasporto e di energia. Il risultato finale è un’impennata dei costi della materia prima senza precedenti, con aumenti fino al +30/40% e un conseguente rincaro (+15%) dei prezzi al dettaglio.Inoltre, l’incremento del lavoro minorile, passato dal 31% al 45% tra il 2008 e il 2019 in Africa Occidentale, con 1,5 milioni di bambini sfruttati, aggiunge una dimensione etica e sociale alla crisi del settore. Uno scenario che mette quindi a dura prova la filiera del cacao e che esprime l’urgenza di soluzioni innovative e sostenibili per ripensare l’intera catena di produzione del cioccolato.

    Il documento

    Come produrre più cibo senza trasformare le foreste in campi agricoli

    di Tiina Vähänen*

    29 Settembre 2022

    In risposta alle sfide globali, dall’Italia arrivano innovazioni promettenti a supporto della filiera e delle aziende dolciarie italiane, grazie a due startup innovative selezionate da FoodSeed, il programma di accelerazione e sviluppo AgriFoodtech e Open Innovation della Rete Nazionale di CDP Venture Capital, sostenuto da partner quali Fondazione Cariverona e UniCredit, Eatable Adventures. “Il cacao riveste un’importanza fondamentale sia in campo gastronomico che nell’economia dei paesi europei. Tuttavia, è evidente la necessità di ridefinire il futuro dell’intera filiera che oggi è tra le più insostenibili a livello mondiale”, racconta Alberto Barbari, Regional VP Italy di Eatable Adventures. “Con Foreverland e Trusty ci stiamo muovendo verso una direzione più etica, sostenibile e innovativa, aiutando le aziende dolciarie ad affrontare le nuove importanti sfide della catena di produzione del cioccolato all’insegna dell’Open Innovation”.

    Foreverland: il primo uovo di Pasqua senza cacao

    Un progetto pionieristico nel settore dolciario è Freecao, il cioccolato senza cacao. Sviluppato dalla startup pugliese Foreverland, questo prodotto rappresenta una svolta sostenibile per l’industria del cioccolato. Realizzato con carruba, tipica dell’area mediterranea dove l’Italia eccelle nella produzione, Freecao offre una deliziosa alternativa al cioccolato tradizionale, con benefici significativi sia in termini di riduzione dei costi di trasporto sia di impatto ambientale. L’innovativo cioccolato taglia drasticamente le emissioni di CO2 del 80% e il consumo di acqua del 90% rispetto al cacao, offrendo una scelta più sana grazie all’assenza di glutine, caffeina, ingredienti artificiali e una minore quantità di zuccheri. E proprio per la Pasqua 2024, Foreverland ha introdotto sul mercato il primo uovo di Pasqua senza cacao: un prodotto da 500 grammi, completamente plant-based, arricchito di nocciole, senza lattosio e senza glutine.

    Alimentazione

    Squp, la startup romana che reinventa il gelato “plant-based”

    di Simone Cosimi

    11 Marzo 2024

    Trusty: il primo uovo di cioccolato tracciato via blockchain

    Dall’Abruzzo, Trusty emerge come una startup innovativa, focalizzata sullo sviluppo di infrastrutture digitali per rendere trasparenti le filiere agroalimentari, utilizzando la tecnologia blockchain. Specializzata nella filiera del cacao, collabora con attori chiave in vari paesi tropicali, fornendo strumenti e consulenza per l’integrazione e la raccolta dati tra agricoltori, cooperative, operatori logistici e industrie. La sua tecnologia, in conformità con le normative europee, quali la EUDR, si dedica a questioni cruciali come la sicurezza alimentare e la sostenibilità. Ciò contribuisce a garantire un commercio internazionale più trasparente e a incrementare la fiducia dei consumatori in filiere eticamente responsabili e regolate.Quest’anno, per Pasqua, Trusty, in collaborazione con Loretta Fanella, chef pâtissier di Livorno, lancia una novità: il primo uovo di cioccolato tracciato via blockchain. Un QR Code sull’uovo certifica l’origine sostenibile del cacao, in conformità con le norme europee per una produzione etica. Questa massa di cacao è stata acquistata tramite il marketplace di Trusty, che mira a semplificare l’approvvigionamento sostenibile per le aziende, sottolineando l’impegno della startup verso la trasparenza e la sostenibilità nelle filiere agroalimentari. LEGGI TUTTO

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    Impianti di biogas, trattori a biometano, biofertilizzanti: i bonus per l’agricoltura sostenibile

    Agricoltura in primo piano per trovare soluzioni alternative ai carburanti fossili. Per questo è in arrivo un nuovo bonus del 65% a copertura delle spese per il rinnovo degli impianti per la produzione del biogas, l’acquisto di trattori a biometano e la promozione dei biofertilizzanti. Le novità nel decreto del “Pratiche Ecologiche” del ministro dell’Ambiente, Pichetto Fratin, che mette a disposizione per gli interventi un fondo di 193 milioni di euro.

    Contributi fino a 600.000 euro

    Il bonus prevede un contributo in conto capitale, pari a un massimo di 600mila euro, a copertura del 65% delle spese sostenute. Le risorse sono indirizzate per il 40% al Sud, con 77,2 milioni destinati alle Regioni del Mezzogiorno. I progetti per i quali può essere richiesto il finanziamento dovranno riguardare lo sviluppo del biogas e del biometano, assieme alle migliori pratiche agricole a salvaguardia di aria, acqua e suolo. Le categorie di intervento oggetto di incentivo sono di tre tipologie: le “Pratiche ecologiche” nei campi e lo sviluppo di poli consortili per lo sfruttamento del digestato, la sostituzione di trattori obsoleti con quelli alimentati a biometano e interventi per l’efficienza degli impianti già esistenti per la produzione di biogas.

    Più efficienti gli impianti a biogas

    Proprio agli impianti a biogas, peraltro, è destinata la più ampia fetta di risorse, 124 milioni di euro. Saranno finanziati gli interventi di efficientamento di quelli più datati, nell’ottica di un modello di produzione agricola circolare più competitivo e sostenibile. Secondo gli ultimi dati, sono circa 1.803 gli impianti biogas con una produzione di 2,5 miliardi di m3 di gas rinnovabile, destinato soprattutto alla produzione elettrica e termica rinnovabile, e per una quota minoritaria immesso in consumo come biometano nel settore dei trasporti. A livello europeo invece, lo scorso anno è stato raggiunto un totale di 1.322 impianti di produzione di biometano, quasi il 30% in più rispetto in un anno, e l’Europa produce più di 3.5 miliardi di m3 di biometano (+20% rispetto ai dati del 2021). Inoltre, oltre il 75% degli impianti attuali è già collegato alle reti di trasporto o distribuzione.

     

    Finanziamenti per incrementare produzione e utilizzo di biofertilizzanti

    Con 54 milioni di euro sono invece finanziati interventi che riguardano la produzione e l’utilizzo del concime organico, anche tramite macchinari più efficienti. Le stesse risorse potranno servire per la creazione di poli consortili per il trattamento centralizzato per lo sfruttamento del digestato, materiale che deriva dal processo di digestione anaerobica delle biomasse vegetali, dagli scarti da allevamento o da sottoprodotti di origine animale. Il digestato è impiegato come biofertilizzante poiché contiene nutrienti fondamentali come azoto, fosforo e potassio, e ha l’ulteriore vantaggio di migliorare la struttura del suolo.

    Più trattori a biometano per l’agricoltura di precisione

    Infine il decreto prevede uno stanziamento di 15 milioni di euro da distribuire come bonus per la sostituzione dei vecchi trattori con quelli più efficienti. Il contributo riguarda esclsuivamente i mezzi alimentati a biometano e dotati di strumenti per l’agricoltura di precisione. Uno specifico target del PNRR, peraltro, prevede per giugno 2026 la messa in circolazione di almeno trecento trattori con le nuove caratteristiche. Le tecniche di agricoltura di precisione consentono di ottimizzare l’utilizzo dei trattori fornendo un supporto all’operatore alla guida del trattore con diversi vantaggi tra cui quelli di evitare passaggi sovrapposti, granire maggiore sostenibilità e maggiore efficienza operativa. LEGGI TUTTO

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    In Valle d’Aosta tutta l’energia consumata viene da fonti rinnovabili

    La Valle d’Aosta è la prima Regione in Italia per  consumi di energia da fonti rinnovabili, avendo raggiunto nel 2022 quota 97,6%, secondo i dati Gse. Di questi, la maggior parte dell’energia proviene dall’idroelettrico, che oggi rappresenta un asset strategico fondamentale per l’Italia poiché contribuisce per il 40% circa alla produzione rinnovabile italiana e costituisce un sistema infrastrutturale indispensabile per la sua preziosa funzione di laminazione delle piene, di stoccaggio e regolazione della risorsa idrica, per i suoi usi plurimi. Ma la regione Valle d’Aosta ha anche un altro primato in quanto, oltre a soddisfare con l’idroelettrico il proprio fabbisogno, riesce addirittura a trasferire circa il 65% dell’energia prodotta con questa fonte alla rete elettrica nazionale. LEGGI TUTTO

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    A Parigi le startup pronte a ripensare il mondo in chiave sostenibile

    PARIGI. I giovani ricercatori tedeschi della Bioweg hanno trovato il modo con cui eliminare le microplastiche dalle creme ad uso cosmetico. Che siano sulla buona strada lo dimostra il cartello che hanno messo sul loro corner “qui assumiamo”. Arrivano dal Belgio i creatori della startup Novobiom che ricavano dalle spore dei funghi, sostanze rigenerative per la biotecnologia. Mentre gli ideatori di Seads (Sea Defence Solution) sono italiani, Fabio Dalmonte e Mauro Nardocci che hanno realizzato una tecnologia in grado di fermare i rifiuti dai fiumi prima che entrino in mare: una barriera che li fa confluire verso un bacino di raccolta dove vengono accumulati, prelevati e avviati al riciclo. Francesi i loro colleghi di Cycle Up artefici di una piattaforma digitale dedicata al mondo dell’edilizia dove si può riciclare materiale sia all’interno di uno stesso paese, ma anche tra paesi diversi. Storie di startup arrivate a Parigi che per tre giorni (dal 25 al 27 marzo) diventa la capitale dell’innovazione legata allo sviluppo sostenibile. Sono 35mila tra creatori di startup, investitori, rappresentanti politici e di onlus di tutto il mondo riuniti al Grand Palais Ephèmere per changeNOW 2024 l’evento internazionale dedicato alla transizione ecologica, economica e sociale.   LEGGI TUTTO

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    Obbligo di imballaggi di plastica e guanti monouso nelle mense scolastiche, gli ambientalisti contro il ministro Lollobrigida

    “Una decisione pericolosamente anacronistica, che sembra evidenziare la scarsa attenzione di questo governo alle tematiche ambientali e di fronte alla quale non intendiamo fermarci”. Raffaella Giugni, responsabile delle relazioni istituzionali di Marevivo, si fa portavoce della profonda preoccupazione dell’associazione ambientalista per il decreto con il quale il ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste impone, nell’ambito del “Programma frutta e verdura nelle scuole” per l’anno 2023/2024, l’uso di confezioni monouso (i cosiddetti flow-pack) per il confezionamento e guanti di plastica per la somministrazione. “Una decisione che alimenta un grave danno ambientale e costituisce un passo indietro nella lotta all’inquinamento da plastica”, denuncia la Fondazione Marevivo. Che sottolinea peraltro come il decreto, emanato lo scorso 7 febbraio (“Ma di cui si apprende solo adesso”) arrivi nonostante la rassicurazione ricevuta più volte dal ministero che i suggerimenti di Marevivo sarebbero stati recepiti.

    “La posizione del ministro Lollobrigida ci appare assurda, tanto più in una fase storica in cui l’Unione europea spinge con forza verso tipologie di imballaggi sostenibile – continua Giugni – Di più: è altamente diseducativa. Il ricorso a confezioni monouso in plastica, molte delle quali non riciclabili, non è per giunta giustificabile da questioni legate alla tutela della salute: è anzi dimostrato scientificamente il contrario, con il rilascio di micro e nanoplastiche che finiscono nel nostro corpo, e in quello dei bambini”.

    Packaging

    Imballaggi, via libera al nuovo regolamento Ue

    di Fiammetta Cupellaro

    15 Marzo 2024

    La plastica non protegge, anzi… “Proprio così, non esiste alcuna ragione scientifica valida per giustificare l’adozione di queste pratiche dannose”, annuisce Antonio Ragusa, che dirige la Struttura Complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale Maggiore di Bologna e insegna all’Università Campus Bio-Medico di Roma. Con la sua ricerca, è stato tra i primi a trovare tracce di microplastiche nei tessuti della placenta delle donne e nel latte materno. “Al contrario – aggiunge – numerosi studi hanno dimostrato che conservare gli alimenti nella plastica può comportare il rilascio di nano e micro particelle dannose negli alimenti stessi, con conseguenze negative sulla salute umana”.

    Ma perché il Ministero ha prescritto l’utilizzo dei flow-pack, nonostante peraltro un sentiment sempre più chiaro da parte degli italiani? “Lo ignoriamo, non vorremmo che ci fosse l’implicita volontà di difendere interessi economici – risponde Giugni – quel che è certo è che non ci fermeremo qui”. E proprio per questo, si legge in una nota diffusa in queste ore, la Fondazione Marevivo invita il ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste “a riconsiderare la decisione e a impegnarsi per promuovere pratiche più responsabili, volte a proteggere l’ambiente, il già compromesso ecosistema marino e la salute umana, individuando le necessarie soluzioni che favoriscano modelli di sviluppo sostenibili. La scelta di continuare a utilizzare confezioni di plastica monouso all’interno del ‘Programma frutta e verdura nelle scuole’ – prosegue la Fondazione Marevivo – rappresenta un grave passo indietro nella promozione di uno stile di vita sostenibile e un segnale contraddittorio ai bambini. In un momento in cui l’urgenza di ridurre l’inquinamento da plastica, che ha raggiunto ormai livelli allarmanti, è più pressante che mai, diventa fondamentale adottare politiche che favoriscano l’eliminazione progressiva dell’uso della plastica e promuovano, invece, alternative sostenibili”.

    La campagna #BastaVaschette

    E del resto, ogni anno nel mondo vengono prodotte 450 milioni di tonnellate di plastica: il 50%, secondo le stime, costituito da imballaggi usa e getta, e oltre 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica vanno a finire nei nostri mari e oceani, l’80% dell’inquinamento dei quali è causato dalla plastica. “Ogni cittadino produce 180 chili all’anno di rifiuti da imballaggio”, annota Raffaella Giugni. Proprio per questo, per contrastare l’utilizzo di imballaggi monouso in plastica per il confezionamento di frutta e verdura, la Fondazione Marevivo assieme a Zero Waste Italia ha dato vita alla campagna #BastaVaschette. – aggiunge – Non è forse un paradosso che arrivi dal ministero un forte impulso in senso contrario?”. LEGGI TUTTO

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    Non buttate i vecchi pannelli fotovoltaici danneggiati, si possono riparare

    Anche i pannelli fotovoltaici si possono riparare, ma non sempre è economicamente vantaggioso farlo. Allora, soprattutto quando di vecchia generazione – superiori ai dieci anni di utilizzo – e non più efficienti come un tempo, i pannelli si buttano via. Uno dei possibili guasti, che si verifica nel 10% dei casi, riguarda i danni subiti dalle barre collettrici a nastro, che determinano un’interruzione del flusso di corrente elettrica tra due celle, quindi una progressiva diminuzione o interruzione dell’energia prodotta.

    La soluzione economica, veloce e di facile applicazione è stata trovata da un gruppo di ricercatori dell’Unità Energia Solare Fotovoltaica del dipartimento Energia del Centro di Ricerca Energetica, Ambientale e Tecnologica, (un istituto pubblico di ricerca spagnolo), che sulla rivista internazionale Renewable Energy ha pubblicato un articolo che descrive sia il metodo per localizzare i guasti nei moduli fotovoltaici sia come ripararli.”L’interruzione dei contatti interni sui vecchi pannelli fotovoltaici è un danno abbastanza frequente. Si tratta di sottili strisce di argento, chiaramente visibili sulle celle solari, che fino ad oggi richiedevano approcci di riparazione troppo costosi, mentre questo gruppo spagnolo ha messo a punto un sistema ingegnoso e low-cost a cui nessuno aveva pensato prima”, spiega Mirko Pagliaro, dell’Istituto per lo Studio dei Materiali Nanostrutturati del Cnr: “Hanno posizionato il pannello fotovoltaico su un pallet di legno a 50 cm da terra, in una zona illuminata dal sole e tramite un tester audio-sonoro che costa circa 25 euro, hanno rilevato l’interruzione del passaggio di corrente. Dopodiché hanno utilizzato una pasta saldante ed il danno è stato risolto”.

    Editoriale

    Riciclo e riuso, un’impresa in cui credere

    di Ermete Realacci*

    18 Ottobre 2023

    L’intervento eseguito dai ricercatori spagnoli ha permesso di riparare un modulo completamente danneggiato, mentre in altri due casi la potenza prodotta è stata moltiplicata per quattro rispetto al valore del prodotto danneggiato, che aveva perso potenza. Inoltre, il grande vantaggio di questa riparazione è la facilità con cui può essere eseguita sia in fabbriche che in laboratori anche poco attrezzati. Ma oltre il valore puramente tecnico della riparazione, questo procedimento permette di ridurre la generazione dei rifiuti da moduli fotovoltaici, minimizzando l’impatto ambientale, seguendo le linee guida ideali dell’economia circolare, ovvero riciclo, riparazione e riutilizzo.”Ci sono tantissimi pannelli solari di vecchia generazione di 10/20 anni, molti dei quali in Italia, anche se è difficile fare una stima, mentre una percentuale è dismessa e ceduta ai paesi poveri, specialmente in Nord Africa dove si usano pannelli di seconda e terza mano importati dall’Europa, che spesso hanno questo tipi di problemi. Avere un sistema semplice di riparazione, permette di allungare la vita del pannello, in linea teorica anche di raddoppiarla”, sottolinea ancora Pagliaro. LEGGI TUTTO