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    Ecoracer 30, la prima barca al mondo completamente riciclabile

    Si chiama Ecoracer 30, la barca a vela “manifesto” della tecnologia e dei materiali che sostituiscono la vetroresina per rendere una imbarcazione completamente riciclabile, l’occasione per guardare al futuro di NL Comp, la startup triestina che opera a Monfalcone, nell’ambito di uno tra i più efficaci ecosistemi della nautica da diporto attivi in Italia. Grazie all’approvazione dei brevetti, NL Comp è diventata la prima azienda a produrre uno scafo interamente riciclabile, fornendo in licenza la tecnologia rComposite® a cantieri prestigiosi e producendo parti non strutturali per gruppi internazionali.

    Estate green

    La denuncia di Giovanni Soldini: “Ci sono motoscafi che sono bombe ecologiche”

    di Luca Fraioli

    09 Luglio 2022

    Fondata a Trieste nel 2020 da Fabio Bignolini, Piernicola Paoletti e Andrea Paduano, la startup ha deciso di impegnarsi per la salvaguardia del mare, con lo scopo di trovare una soluzione definitiva al problema della vetroresina: arrivate a fine vita, le imbarcazioni realizzate con questi materiali vengono spesso abbandonate nei cantieri, nei porti o addirittura deliberatamente affondate, con conseguenze negative sulla fauna e la flora marine. L’11 aprile scorso, l’Ecoracer 30 è scesa in acqua allo Yacht club Adriaco di Trieste, da dove partirà per partecipare al principale appuntamento della stagione: il Campionato italiano Altura in programma a fine giugno a Brindisi. In lizza non solo l’importante trofeo sportivo, ma la sfida di mostrare all’industria nautica europea la qualità della tecnologia e dei materiali brevettati da NL Comp per realizzare una barca con resine termoplastiche, riciclabili a fine vita.

    “Dal 2020 a oggi – ha spiegato l’Amministratore Delegato della società, Fabio Bignolini – abbiamo lavorato sui processi e materiali per sostituire la vetroresina, e a seguito dell’accettazione delle nostre domande di brevetto, siamo la prima azienda a produrre uno scafo completamente riciclabile, oltre a fornire in licenza rComposite® a prestigiosi cantieri e a produrre parti non strutturali per grandi gruppi internazionali”. LEGGI TUTTO

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    Via libera al nuovo regolamento per gli imballaggi in plastica nella Ue

    Il Parlamento europeo ha dato il via libera alle nuove misure sugli imballaggi per renderli più sostenibili e ridurre i rifiuti nell’Ue. Il regolamento, approvato in via definitiva con 476 voti favorevoli, 129 contrari e 24 astensioni, intende affrontare il crescente problema dei rifiuti da imballaggi, uniformare le leggi del mercato interno e promuovere l’economia circolare. Le norme, frutto di un accordo con il Consiglio, comprendono obiettivi di riduzione degli imballaggi (del 5% entro il 2030, del 10% entro il 2035 e del 15% entro il 2040) e impongono ai Paesi Ue di ridurre in particolare i rifiuti di imballaggio in plastica. Dalle coppette in plastica per ketchup e maionese alle confezioni monouso per frutta e verdura sono diversi i prodotti che ora il Parlamento europeo considera fuori legge. L’accordo appena votato prevede che tutti gli imballaggi siano riciclabili o riutilizzabili, riducendo al minimo quelli superflui e la presenza di sostanze nocive. Si punta anche sul miglioramento della raccolta differenziata per incentivare il mercato delle materie prime secondarie.

    Rifiuti

    Imballaggi da riutilizzare, il nuovo regolamento Ue che non piace all’Italia

    di Giacomo Talignani

    25 Ottobre 2023

    Nata con l’obiettivo di ridurre i rifiuti da packaging, la nuova legge non solo pone obiettivi ai Paesi membri, ma indica la strada da seguire per il futuro. Per l’Italia, che manda al riciclo il 71,5% dei rifiuti (dati Conai 2022), sarà una strada diversa da quella intrapresa. Stravolgerà anni di raccolta differenziata e il packaging agroalimentare, con abitudini da cambiare e nuovi costi da sostenere. Stride il fatto che l’Italia sia la leader indiscussa del riciclo mentre la norma europea punta al riutilizzo. Per intenderci, il riuso prevede che l’imballaggio sia lavato e utilizzato nuovamente; il riciclo invece preleva la plastica per darle nuova vita. “Abbiamo tentato in ogni sede di far comprendere quanto il riciclo sia una componente essenziale della filiera produttiva italiana, soprattutto nel settore ortofrutticolo, perché l’Italia è una eccellenza europea in questi processi. Ma si è scelto con testardaggine di andare verso il riutilizzo” ha commentato l’eurodeputato Giuseppe Ferrandino (Renew).

    Era infatti stata proprio questa particolare misura sul packaging per l’ortofrutta a destare la maggior preoccupazione, anche se il provvedimento ha ricadute su tutti i settori economici che utilizzano imballaggi, praticamente tutti se pensiamo a tutto ciò che nella nostra vita quotidiana troviamo imballato.  Ma c’è chi sostiene che il nostro motore economico e produttivo non sarà messo in ginocchio tanto facilmente, perché attraverso le deroghe, “siamo riusciti a ottenere meccanismi di premialità per i Paesi che raggiungono risultati importanti nel riciclo” ha dichiarato l’europarlamentare Massimiliano Salini (PPE). “Abbiamo evitato il rischio di ricadute enormi anche in termini di investimenti necessari alla riconversione di filiere produttive e alla creazione di nuove infrastrutture, come quelle necessarie a far funzionare i sistemi di riuso” ha ribadito l’eurodeputata Patrizia Toia (S&D).

    Secondo le nuove norme, entro il 2029, gli Stati membri dovranno garantire la raccolta differenziata di almeno il 90% annuo delle bottiglie di plastica monouso e dei contenitori per bevande in metallo.

    Riciclo

    Panna da caffè e cestino per il camembert: cosa non vedremo più con la legge Ue sul packaging

    di Giacomo Talignani

    22 Novembre 2023

    Riduzione e divieti

    L’accordo fissa obiettivi di riduzione dei rifiuti da imballaggio, rispetto alle quantità del 2018: 5% entro il 2030, 10% entro il 2035 e 15% entro il 2040. Tutti i divieti entreranno in vigore dal 2030 e si applicheranno soltanto agli imballaggi in plastica monouso utilizzate per: – confezioni multiple di bevande al punto vendita (per esempio: confezione da 6 di acqua e latte); – imballare frutta e verdura sotto 1,5 kg; – il consumo di bevande e alimenti in loco; – condimenti, salse e conserve consumati in bar e ristoranti; – prodotti di cosmetica e igiene negli alberghi; – buste ultraleggere, salvo se necessarie per ragioni di igiene o per cibo sfuso, come carne cruda, pesce o prodotti lattiero-caseari.

    Deroghe per i divieti

    I divieti non varranno se la plastica è compostabile e può essere correttamente raccolta e smaltita con i rifiuti organici. Una deroga è ammessa per la frutta e verdure trasformate, e nei casi in cui l’imballaggio è considerato dallo Stato membro necessario per evitare perdite di acqua, di turgore, shock fisici, ossidazione. Altri divieti, come quelli per i film in plastica per imballare le valigie negli aeroporti e per i piccoli pezzi in polistirene usati per proteggere certi prodotti durante il trasporto, sono aggiunti alla Direttiva plastica monouso attraverso una modifica mirata. Si introduce la definizione di imballaggio composito, in base alla quale un imballaggio fatto dal 95% e più di carta, sarà considerato di carta ai fini del Regolamento (e dunque escluso dai divieti).

    Obblighi di riuso

    Tutti gli imballaggi per il trasporto saranno soggetti a certi obblighi di riuso al 2030 (obbligatori) e al 2040 (indicativi). Da questi obblighi sono esclusi: – il cartone, il trasporto di beni pericolosi, i grandi macchinari e gli imballaggi flessibili a contatto con gli alimenti. Gli obblighi di riuso per cibo e bevande da asporto sono stati rimossi e sostituiti da due clausole: – che l’esercente accetti di fornire cibo e bevande nel contenitore eventualmente portato dal consumatore, sul modello tedesco; – che l’esercente offra al consumatore l’opzione di fornire cibo e bevande in contenitori riutilizzabili e che, attraverso questa offerta, ambisca a fornire il 10% di contenitori riutilizzabili entro il 2030. Gli obblighi di riuso per i contenitori per bevande pre-imbottigliate sono stati concordati per il 2030 (obbligatori) e il 2040 (indicativi) con le seguenti esclusioni: – bevande altamente deperibili, latte e i suoi derivati, vini, altre bevande alcoliche.

    Deroghe per il riuso

    Gli Stati membri possono derogare agli obblighi di riuso se: – si prevede che raggiungano e superino del 5% gli obiettivi di riciclo di un materiale da imballaggio al 2025; – sono sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi di prevenzione dei rifiuti e possono dimostrare di aver ridotto, entro il 2028, di almeno il 3% i rifiuti rispetto al 2018; – l’operatore economico ha stilato un piano di prevenzione e riciclo dei rifiuti che contribuisca al raggiungimento degli obiettivi di prevenzione e riciclo dei rifiuti. Ulteriori deroghe previste dalla proposta: – per le microimprese; – per gli operatori con superficie di vendita inferiore a 100 mq; – per gli operatori che immettono sul mercato di uno Stato membro meno di 1.000 kg di imballaggi per anno. LEGGI TUTTO

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    La pellicola fotovoltaica che si può indossare

    Si moltiplicano gli studi sul fotovoltaico, concepito non più, o per lo meno, non solo come tecnologia usata per trasformare l’energia solare in elettricità, ma anche per nuove ed inedite applicazioni. Il celebre centro di ricerca giapponese Riken per le Scienze della Materia Emergente, infatti, sta lavorando da tempo ad una pellicola fotovoltaica organica impermeabile e flessibile, che potrebbe rivoluzionare un settore emergente, quello dell’elettronica wearable, applicata sui tessuti, quindi nel campo dell’abbigliamento. Il prototipo realizzato “è una cella solare a tutti gli effetti che, come tutti i dispositivi fotovoltaici, assorbe la potenza luminosa e la trasforma in potenza elettrica: maggiore è il rapporto tra potenza elettrica disponibile ai morsetti della cella fotovoltaica e la potenza della radiazione luminosa più efficiente è la cella solare”, spiega Paola Delli Veneri, responsabile della divisione solare fotovoltaico di Enea.

    Raggiungere l’impermeabilità in questi dispositivi indossabili fino ad oggi, significava sacrificare la flessibilità a causa dell’aggiunta di strati protettivi che ne limitava il movimento, ma la ricerca, pubblicata su Nature Communications, segna una svolta rispetto agli esperimenti del passato: gli scienziati, infatti, sono riusciti a mantenere l’estrema flessibilità della pellicola, conferendole resistenza all’acqua. Questo significa che può essere inserita nei vestiti e funzionare correttamente anche dopo essere stata bagnata dalla pioggia o addirittura lavata.

    Economia circolare

    Non buttate i vecchi pannelli fotovoltaici danneggiati, si possono riparare

    di Paolo Travisi

    26 Marzo 2024

    “L’articolo scientifico è focalizzato su celle solari organiche a film sottile, caratterizzate da spessori di qualche millesimo di millimetro, in cui lo strato assorbitore, cioè il materiale che assorbe la luce solare è di tipo organico. Queste celle solari, inoltre, hanno prospettive di produzione a basso costo e possono essere fabbricate su supporti flessibili”, aggiunge l’esperta di Enea. Il metodo giapponese è riuscito a produrre una pellicola di soli 3 micrometri di spessore, ma nei test condotti nei laboratori del Riken la pellicola fotovoltaica ha dimostrato la sua straordinaria resilienza; è stata immersa in acqua per 4 ore, riuscendo a conservare l’89% della sua performance iniziale. Come ultimo test, l’hanno fatta passare attraverso un ciclo di lavaggio in lavatrice, ed è sopravvissuta anche a questa prova, mantenendo caratteristiche vicine all’originale.

    I dispositivi wearable, perfettamente integrati negli abiti, sarebbero tali grazie allo sviluppo di celle per la ricarica, proprio perché non avrebbero necessità di sostituire le batterie, e per esempio potrebbero trovare ampia applicazione in campo medico. “Questo tipo di celle solari ultraflessibili potrebbero alimentare non solo dispositivi elettronici indossabili di utilizzo quotidiano, ma essere utilizzati in serre a tunnel, tensostrutture e più in generale in tutte le applicazioni in cui serve un peso ridotto e flessibilità”, sottolinea ancora Paola  Delli Veneri.

    Rinnovabili

    Cinquemila pannelli solari in un cimitero francese, 5 euro per far parte della CER

    di Cristina Nadotti

    14 Marzo 2024

    E se nel centro giapponese, ricerca e sviluppo di questa nuova promettente tecnologia procedono a gran velocità, com’è la situazione in Italia? “Sicuramente ci sono gruppi che sviluppano celle a film sottile basate su materiali organici, ma anche inorganici o ibridi organici-inorganici quali ad esempio le perovskiti e il tema della flessibilità è un topic di rilevante interesse per chi studia tecnologie FV a film sottile. In Enea, ad esempio, si studiano celle a film sottile di silicio e celle polimeriche con uno spettro di trasmissione compatibile con quello della crescita di piante, da integrare in serre con coperture fotovoltaiche. In sostanza l’idea è che una parte dello spettro solare venga trasmesso alle piante e un’altra parte venga utilizzato per produrre energia elettrica”. LEGGI TUTTO

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    Malattia del cervo zombie, dai casi al rischio di trasmissione animale-uomo: cosa bisogna sapere

    I primi casi, sospetti, di uomini infetti (due cacciatori, negli Stati Uniti) portano ancor di più alla ribalta dell’attualità quella che, tecnicamente, è definita come malattia da deperimento cronico nel cervo (CWD), in inglese Chronic Wasting Disease. La storia, pubblicata sulla rivista Neurobiology, riguarda un 72enne che nel 2022 aveva consumato carne di cervo proveniente da una popolazione infetta, morto un mese dopo i primi sintomi. Stessa sorte per un amico. Casi che – si legge nello studio – potrebbero suggerire “una possibile nuova trasmissione della malattia da animale a uomo, ipotesi di un salto di specie che – sulla base di modelli di primati e topi – è considerata plausibile”. Tecnicamente possibile sarebbe il passaggio dei prioni – agenti patogeni di natura proteica – dai cervidi, tra le cui popolazioni statunitense si sono registrati centinaia di casi negli Usa (800 tra cervi e alci nel solo stato del Wyoming), all’essere umano. 

    Una malattia degenerativa del sistema nervoso

    Ma cosa è, nel dettaglio, la CWD? Si tratta di un’encefalopatia spongiforme non troppo dissimile dalla celebre encefalopatia spongiforme bovina (Bse, il morbo della mucca pazza), legata all’accumulo dei prioni. Un accumulo considerato direttamente responsabile di una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale. Così, i cervidi diventano “sbavanti, letargici ed emaciati” e il loro sguardo vuoto ha suggerito il nome comune, per l’appunto, di malattia del cervo zombie. Il risultato è che gli animali soccombano facilmente a predatori e incorrano in incidenti stradali e vadano incontro alla morte in un periodo compreso tra qualche settimana e quattro mesi dopo l’insorgenza dei primi sintomi.Giuseppe Ru, epidemiologo veterinario, è il responsabile dell’unità di Biostatistica Epidemiologia e Analisi del Rischio (Bear) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, che è il centro di referenza nazionale per lo studio e le ricerche sulle encefalopatie animali e neuropatologie comparate. Si occupa da decenni di malattie come questa. Che definisce come “una patologia complessa, che ha tempi lunghi di incubazione e che porta i cervidi inevitabilmente alla morte dopo aver sviluppato una serie di sintomi importanti”, dice.

    Salute

    Virus, sono di più quelli trasmessi dagli umani agli animali che il contrario

    di Sara Carmignani

    01 Aprile 2024

    In Europa allerta in Scandinavia

    “Prima ancora di stabilire se lo spillover (termine che definisce il passaggio di un patogeno da una specie ospite all’altra, ndr) si è già verificato, vale la pena evidenziare come la situazione in America sia preoccupante. – aggiunge Ru – Nel 1967 in Colorado sono stati individuati i primi casi di questa malattia, all’interno di strutture di ricerca che ospitavano cervi. Poi, gradualmente, si è estesa in Wyoming e in Nebraska, contagiando anche animali selvatici. Dalla metà degli anni 90 si sono accesi i riflettori sulla malattia: dieci anni fa, 25 Stati americani erano già interessati dalla malattia, oggi sono 33. E la CWD si è diffusa anche in cinque province del Canada”.

    In Europa la malattia è già presente: diagnosticata per la prima volta in una renna norvegese nel 2016, nuovi casi sono stati individuati in renne, alci e cervi nella Scandinavia, per un totale di 37 casi in Norvegia (12 alci, 3 cervi, 21 renne), 4 in Svezia e 3 in Finlandia. In Italia, dove dal 2017 si ha un’attenzione particolare ai decessi di cervidi, non ci sono casi documentati.

    Giornata mondiale della salute

    È il cambio climatico la minaccia principale per la salute umana

    di Wwf Italia

    07 Aprile 2024

    Rischio contagio elevatissimo. Ma non per l’uomo

    “Il rischio contagio è particolarmente forte. – prosegue – L’agente, molto resistente, viene trasmesso attraverso saliva, urine e feci, ma è in grado anche di contaminare l’ambiente circostante, dove – essendo molto resistente – può sopravvivere per diverso tempo”.E difficile si sta rivelando anche la strategia di contrasto all’epidemia: nel 2016, dopo il primo focolaio norvegese, la popolazione con i capi infetti – che viveva in una sorta di semi-isolamento naturale – fu interamente abbattuta, con 2000 capi uccisi. Poco dopo, non troppo lontano, la malattia si ripresentò all’interno di una popolazione ben più consistente. Ora, il rischio è che intacchi la popolazione di renne semidomestiche, che hanno un patrimonio genetico differente e che – auspicano gli scienziati – potrebbero essere più resistenti al contagio. Anche perché le renne semidomestiche sono una delle prime risorse economiche per la popolazione Sami, che sarebbe dunque molto esposta al rischio di una zoonosi. “Ma lo spillover non è mai prevedibile. – annota Ru – E anche quando accade, come nel caso della cosiddetta mucca pazza, può darsi che i numeri dei casi siano significativamente inferiore ai livelli di allarme”.

    Lo studio

    Quel legame tra deforestazione ed epidemie

    di Annalisa Bonfranceschi

    24 Marzo 2021

    Attenti ai lupi: saranno immuni?

    “Certo è – annota Nicola Bressi, naturalista, divulgatore e zoologo del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste – che siamo di fronte a qualcosa di nuovo, da studiare e approfondire. Al netto del potenziale contagio di essere umani, bisognerebbe interrogarsi anche a un possibile spillover nei canidi, lupo in primis, che delle carcasse di cervi e alci si nutrono. Nel caso, evidentemente distante, della peste suina, si è visto che il consumo di carne infetta non li contagi. Stavolta, è ancora tutto da scoprire. Per noi biologi, però, è intrigante comprendere il ruolo dei prioni: proteine modificate, non esseri viventi. Rispetto ai virus, che replicano il loro codice genetico innestandolo in nuove cellule, i prioni ‘lavoranò contagiando meccanicamente le proteine a contatto. E diventando letali”. LEGGI TUTTO

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    Bonus climatizzatori 2024: ecco come funziona

    Bonus climatizzatori per gli acquisti in vista dell’estate. Per i prossimi mesi è possibile approfittare della detrazione fiscale del 50% per acquistare un nuovo impianto, purché sia a pompa di calore con la doppia funzione di raffrescamento e riscaldamento. Chi richiede questa agevolazione può ottenere anche il bonus mobili. E se invece si decide di […] LEGGI TUTTO

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    Efsa: il 96,3% degli alimenti non ha residui di pesticidi

    Nessun allarme per i pesticidi nel piatto. Secondo la relazione annuale sui residui dei fitofarmaci negli alimenti presenti nell’Unione europea, pubblicata dall’Efsa, l’Autorità europea sulla sicurezza alimentare, il 96,3% dei campioni analizzati nel 2022 rientra nei limiti legali, in linea con il dato del 2021 (96,1%). La relazione si basa sui dati provenienti dalle attività […] LEGGI TUTTO

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    Nessun paese del G7 è in linea con gli obiettivi di ridurre le emissioni climalteranti

    Parola d’ordine “accelerare”. Dal 28 al 30 aprile si terrà a Torino la riunione ministeriale su clima, energia e ambiente del G7, a guida italiana. Un incontro per tracciare e percorrere la rotta degli impegni presi finora, passando anche dalla Cop28 di Dubai, in tema di clima ed energia. Impegni che richiedono una necessaria e rapida accelerata: finora infatti nessun Paese del G7 (Italia, Germania, Francia, Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone) risulta in linea con gli obiettivi di riduzione dell’emissioni fissati al 2030. Non solo nessuna nazione è in traiettoria, ma non ci si avvicina nemmeno: come obiettivi centrati siamo sotto alla metà di quelli finora dichiarati. A decretare questo ritardo difficile da colmare è una analisi appena pubblicata da Climate Analytics che, proprio in vista dell’incontro di Torino, ha analizzato i piani di riduzione delle emissioni dei Paesi del G7. 

    Secondo gli analisti “collettivamente le economie del G7 devono ridurre le proprie emissioni del 58% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019 per fare la loro parte nel limitare il riscaldamento a 1,5°C”, soglia fissata negli Accordi di Parigi. Climate Analytics sostiene inoltre che i vari Paesi siano “sulla strada per raggiungere appena la metà delle riduzioni delle emissioni di gas serra necessarie entro il 2030”.

    Il rapporto

    Meno 6,5% di emissioni, Italia ancora in corsa per obiettivi Ue al 2030

    a cura di redazione Green&Blue

    22 Aprile 2024

    “Queste economie, che rappresentano il 38% del Pil mondiale, non stanno facendo il necessario nonostante abbiano sia la tecnologia che le risorse finanziarie per fare il salto di qualità. In un contesto di estremi climatici senza precedenti, esacerbati dall’uso dei combustibili fossili, intraprendere azioni ambiziose per la decarbonizzazione e fissare una scadenza per abbandonare i combustibili fossili dovrebbe essere il minimo indispensabile” ha spiegato il principale autore del rapporto, il ricercatore Neil Grant.Dalla ricerca emerge come l’attuale livello di ambizione collettiva del G7 per il 2030 sia insufficiente e pari al “40-42%, ma le politiche esistenti suggeriscono che il G7 probabilmente raggiungerà solo una riduzione del 19-33% entro la fine di questo decennio”.Tra le indicazioni uscite dall’analisi c’è la necessità che i sette Stati si impegnino maggiormente nell’eliminare dalla produzione di energia elettrica il carbone e il  gas (entro rispettivamente 2030 e 2035), compito arduo se si pensa che buona parte di queste realtà continua insistentemente, nonostante l’idea di un progressivo addio al fossile innescata alla Cop di Dubai, a finanziare e investire nelle fonti inquinanti. Per Climate Analytics bisogna dunque “porre fine ai finanziamenti pubblici e ad altri tipi di sostegno ai combustibili fossili all’estero: l’Italia e il Giappone, l’attuale e la precedente presidenza del G7, sono tra i primi 5 Paesi che sovvenzionano progetti di combustibili fossili nel G20”. Altro punto chiave per rimettersi velocemente in cammino verso un traguardo davvero a basse emissioni è accelerare lungo il percorso che – come indicato alla Cop28 – dovrà portare a triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030.Il G7 a Venaria Reale sarà dunque l’occasione per mettersi davvero “a correre” verso un traguardo che appare lontano: per riuscirci però, secondo il think tank italiano del clima ECCO, dovranno essere rispettati tre punti chiave, anche in vista delle future Cop29 di Baku e Cop30 di Belem. “Affinché il risultato sia all’altezza delle sfide contemporanee, i membri del G7 dovranno dare un chiaro segnale a cittadini, imprese e investitori sulla transizione e sulla finanza per clima. Sono tre i pilastri su cui giudicheremo il successo o meno del G7 di Torino. Il primo è il trovare un accordo su un quadro strategico e coerente finalizzato alla progettazione e allo sviluppo di piani di transizione nazionali per l’intera economia, allineati all’obiettivo di contenimento dell’aumento della temperatura di 1,5°C. Tali piani dovrebbero illustrare come i Paesi del G7 intendano abbandonare gradualmente i combustibili fossili, con orizzonte la Cop30, in particolare la consegna dei nuovi impegni nazionali di riduzione delle emissioni (NDCs)”. Il secondo, per ECCO, è “indicare concretamente come i Paesi G7 intendono intraprendere la transizione dal carbone, dal petrolio e dal gas verso le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica”. Infine i Paesi del G7  “dovrebbero offrire un supporto per facilitare la transizione energetica e la resilienza a livello globale. Ciò passa da impegni per aumentare i flussi finanziari diretti ai Paesi in via di sviluppo, oltre a una profonda revisione delle regole finanziarie attuali, in particolare per quel che riguarda la gestione del debito e le modalità di accesso ai finanziamenti multilaterali per lo sviluppo”.Tre obiettivi che la guida italiana avrà il compito di veicolare, una responsabilità che però include anche un grande rischio. Secondo il think tank infatti  “il rischio più grande per l’Italia è quello di dedicare troppa attenzione politica a tecnologie marginali per la decarbonizzazione dell’economia, come i biocombustibili, o del tutto assenti nel sistema italiano, come il nucleare, invece di puntare su soluzioni vincenti per i cittadini e le imprese italiane, come rinnovabili e efficienza”. LEGGI TUTTO

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    L’Asia è il continente più colpito dai disastri ambientali nel 2023: oltre 2000 i morti

    Crisi climatica, ondate di calore estremo, inondazioni. L’Asia è sempre più vulnerabile. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite è stata la “regione più colpita al mondo” dai disastri climatici, meteorologici e idrici nel 2023. Lo rende noto, nel suo rapporto annuale, l’agenzia sottilneando che le inondazioni e le tempeste sono state la causa principale […] LEGGI TUTTO